È tutta questione di storytelling (e Obama lo sa bene)

C’era una volta il racconto, poi è nata l’arte del raccontare. Lo storytelling viene utilizzato soprattutto da chi ha come obiettivo il comunicare qualcosa o, nel peggiore dei casi, vuole controllare le opinioni altrui. È una tecnica che ha invaso tutti i settori della nostra società, dalla pubblicità alla politica, perché narrare significa “far conoscere”. Come dice Roland Barthes, «il racconto è come la vita».

Come sempre, un esempio di comunicazione politica efficace ci arriva dall’oltreoceano, da Barack Obama, durante il suo discorso ai laureandi della Rutgers University, nel New Jersey (QUI il video e QUI la trascrizione). Un discorso accorato, ricco di stimoli e di significati. Uno speech con uno storytelling avvincente con le seguenti caratteristiche:

– favorisce la connessione emotiva tra chi parla e chi ascolta;
– permette di comprendere anche i passaggi più complessi;
– chiama all’azione (call to action);
– attiva e motiva il pubblico;
– porta il pubblico ad occuparsi della causa (caring of);
– rende il pubblico consapevole;
– favorisce la cooperazione;
– contiene messaggi dal forte significato politico ed emotivo
– sono presenti storie che raccontano identità e trasmettono valori;
– sono presenti storie che incorporano conoscenze tacite;
– è presente una buona dose di ironia.

È un discorso ben strutturato in grado di far comprendere bene i contenuti e le opportunità di attivazione del pubblico. Il discorso, intriso di storie, consigli, aneddoti e anche un po’ di ironia, tocca diversi punti: dai Padri Fondatori al surriscaldamento globale, dal tema della salute alla difesa dei fatti e della scienza contro una cultura che fa della menzogna e dell’ignoranza un vanto.

In politics and in life, ignorance is not a virtue.
It’s not cool to not know what you’re talking about.

Obama

Poi, siccome il discorso è rivolto a giovani studenti, cita persino una canzone di Bruce Springsteen che invita a non sprecare tempo, a non stare fermi ad aspettare “il momento giusto”.

A guy named Bruce Springsteen, once sang:
They spend their lives waiting for a moment that just don’t come”.
Don’t let that be you. Don’t waste your time waiting.

Obama non menziona mai il suo antagonista repubblicano direttamente anche se «il mondo è interconnesso», dice, «non abbiamo bisogno di muri, dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri e non sollevare il ponte levatoio e cercare di spingere il resto del mondo fuori», alludendo alla proposta di Donald Trump di costruire un muro tra i confini di Stati Uniti e Messico.

The world is more interconnected than ever before
and it’s becoming more connected every day.
Building walls won’t change that.

Poi invita all’azione incitando gli studenti ad andare a votare, perché è importante avere fiducia nella democrazia e perché i cambiamenti avvengono sempre grazie a semplici cittadini che si interessano e partecipano nel processo politico.

Have faith in democracy.  Look, I know it’s not always pretty.
Really, I know. I’ve been living it.
But it’s how, bit by bit, generation by generation,
we have made progress in this nation.

Infine, come ripete sempre alle sue figlie (ecco l’efficace storytelling personale), consiglia agli studenti di non perdere mai le speranze, di non scoraggiarsi, di provarci sempre, di puntare sempre al meglio. Non importa raggiungere la perfezione, dice, ma il successo, grande o piccolo che sia, perché è così che si realizza il progresso in una società e, in generale, nella vita.

 I always tell my daughters, you know, better is good.
It may not be perfect, it may not be great, but it’s good.
That’s how progress happens, in societies and in our own lives.

Ricordiamo infine che lo storytelling non funziona in assenza di contenuti, ovvero raccontare storie senza fatti comprovati e contenuti interessanti è un boomerang e gli effetti nell’audience si esauriscono in poche ore e in qualche titolo di giornale. Lo storytelling senza storie è inutile, se non dannoso. Invece un discorso con uno storytelling efficace significa parlare lo stesso linguaggio degli elettori (e non quello degli eletti), significa creare una connessione emotiva con il pubblico ponendosi sul suo stesso piano. È un metodo convincente per trasformare i punti di debolezza in punti di forza, fragilità biografiche o politiche in valori positivi.

Insomma, Obama riesce sempre a proporre racconti che colpiscono, che provocano sentimenti, a esprimere principi e posizioni in modo da sintonizzarsi con il proprio elettorato e condividere con questo tutti i valori della tradizione americana.

Dopo le elezioni presidenziali di novembre Obama ci lascerà, o meglio, lascerà la Casa Bianca, perché quando un presidente lascia il potere, dopo una sconfitta o, come in questo caso, alla fine del suo mandato, «occupa spesso gli anni successivi ad assicurarsi che la propria versione della presidenza corrisponda a quella che sarà ricordata dalla Storia. Senza una storia giusta non c’è né potere né gloria».

Storytelling 2.0

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Potrei iniziare questo articolo in due modi: spiegandovi cos’è lo storytelling o raccontandovi una storia. Scelgo la seconda opzione.

Ho un’amica su Facebook che parla costantemente di sé: da quello che fa, a quello che dice, fino a quello che pensa o che avrebbe intenzione di fare. Il social network è il suo miglior confidente. È tutto lì, sulla sua bacheca. La foto dell’ultimo acquisto, la canzone sentita in auto, le frasi struggenti per l’ex fidanzato che le ha spezzato il cuore, il resoconto della sua giornata in palestra… tutto è pubblico, pronto alla lettura/visione da parte di chiunque capiti lì.

Son sicura che tutti hanno un personaggio del genere tra i propri amici. E anche non volendo, uno sguardo ce lo butti, anzi, per dirla tutta, vuoi proprio sapere come andrà a finire la storia col suo ex. Oppure, nei casi peggiori, l’unico pensiero che ti viene a mente è: «Sì, beh, hai proprio una vita interessante… ma anche basta!». Così succede che il contatto in questione, il bulimico di Facebook, viene bloccato o rimosso dalla cerchia di amici. Eliminato. Senza pietà.

Lo storytelling è (anche) questo. È l’arte del narrare storie. Le raccontiamo noi, il venditore, il politico. Perché raccontiamo storie? Per coinvolgere emotivamente, per catturare l’attenzione, per semplificare, per far ricordare, per vendere un prodotto, per prendere un voto alle elezioni. L’immagine che viene a mente è quella di una spiaggia al calar del sole e un gruppo di persone riunite intorno a un fuoco che esprimono ciò che, detto in un’altra maniera, non sarebbe oggetto di alcuna attenzione. Oppure l’immagine del nonno che prende sulle ginocchia il nipotino e, per spiegargli cos’è l’egoismo, gli racconta la favola del Lupo e dell’Agnello.

Insomma, prestiamo molta più attenzione a ciò che suscita in noi un’emozione, perché i contenuti puramente razionali non riescono a provocare alcuna implicazione emotiva sulle persone ed è quindi più difficile che si attivi un comportamento concreto di voto, di acquisto o in generale di mobilitazione a compiere una qualsiasi azione.

Anche Salmon in Storytelling. La fabbrica delle storie, spiega come oggigiorno siamo sommersi da narrazioni. Però, fate attenzione, alcune sono buone, mentre altre sono falsanti e propagandistiche: «Le grandi narrazioni che hanno segnato la storia dell’umanità, da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano miti universali e trasmettevano le lezioni alle generazioni passate, lezioni di saggezza, frutto dell’esperienza accumulata. Lo storytelling percorre il cammino in senso inverso: incolla sulla realtà racconti artificiali, blocca gli scambi, satura lo spazio simbolico di sceneggiati e di stories».

Ma come è possibile raccontare storie nell’era dei social network? Sì può essere bravi storyteller in 140 caratteri o in un post su Facebook? Si può. È solo diverso rispetto a qualche decennio fa, perché si usano nuovi formati di comunicazione. Il limite dei 140 caratteri su Twitter, ad esempio, fa riscoprire la creatività delle persone, una risorsa sempre rinnovabile con la produzione di hashtag diversi a seconda del fatto d’attualità che si impone nell’opinione pubblica. Certo, si tratta sempre di creatività a breve termine (fai click sul refresh e il tweet è già andato nel dimenticatoio) e di una rappresentazione del sé un po’ falsante (su Facebook ognuno di noi è ben attento a scegliere l’immagine che vuole dare di sé agli atri). Ma adesso funziona così. Roba da tempi moderni.

L’ingrediente principale di una buona narrazione in rete, oltre ad esser sostenuta da buone doti di scrittura, è l’originalità. Non importa se sia lunga o corta. Pensate che nel 1920 Hemingway vinse una scommessa scrivendo una storia di sole sei parole: «Vendesi: scarpe da bambino, mai usate». E poi c’è anche chi sette anni fa ci ha fatto sopra un progetto (guardatevi questo simpatico video di SMITH Magazine) ancora oggi aggiornato dagli utenti del web (qui).

Ammettiamolo, abbiamo bisogno di storie, soprattutto adesso che siamo costantemente bombardati dalle informazioni dei new media. Il sovraccarico mediatico a cui siamo esposti in questo universo iperveloce e atemporale esige una selezione dei racconti più inusuali, che suscitino in noi qualcosa, che riescano a fermare tutto il rumore che c’è intorno. Sì, perché quando leggiamo una storia il tempo si ferma, le emozioni si accavallano, cozzano tra loro e ci portano lontano con la mente.

Poi, si fa un bel respiro e si torna alla realtà.

[Articolo pubblicato anche su Mediumevo]

Parliamo di politica… ma prima ti racconto una fiaba

C’è un incredibile legame che lega insieme semiotica e politica. Ma prima partiamo da una domanda: cos’è la semiotica?

Secondo l’Enciclopedia Treccani la semiotica è la «scienza generale dei segni, della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in cui si comunica e si significa qualcosa, o si produce un oggetto comunque simbolico». La semiotica è una disciplina applicabile in molti campi: dalla politica, ai nuovi media, dagli articoli di giornale fino alle pubblicità della televisione.

Non avete ancora capito di cosa si tratta vero? Allora proviamo a fare un esempio pratico. Prendiamo una delle fiabe più conosciute al mondo: Cappuccetto Rosso. In questo caso applicheremo ciò che lo studioso Greimas chiama “semiotica narrativa”, perché si utilizza questo metodo per analizzare un testo scritto (se dovevamo analizzare un’opera artistica avremmo dovuto utilizzare una semiotica figurativa o plastica).

Se non vi ricordate la fiaba di Cappuccetto Rosso rileggetela qui.

Bene, ora partiamo con l’analisi.

Fiaba

Innanzitutto vediamo che gli elementi principali della narrazione (cioè gli attanti) sono Soggetto, Oggetto di valore, Aiutante e Oppositore. Chiariamoci un po’ le idee.

Il Soggetto è il personaggio che o si trova in una certa situazione statica o compie determinate azioni.
L’Oggetto di valore è un oggetto che ha un valore per il Soggetto. È cioè importante per il Soggetto, o perché gli permette di essere felice, di raggiungere il suo scopo o perché, al contrario, lo rende infelice e deve liberarsene o fuggire da esso. L’Oggetto di valore non deve necessariamente essere un oggetto concreto. Potrebbe essere una persona o un concetto astratto.
L’Opponente è un personaggio, una cosa o una situazione che ostacola il Soggetto nella realizzazione di un Piano Narrativo (PN), ovvero ciò che il Soggetto vuole fare o raggiungere.
L’Aiutante è un personaggio, una cosa o una situazione che aiuta il Soggetto a realizzare un PN.

Greimas, semplificando lo schema del linguista russo Propp, ha individuato uno schema (chiamato Schema narrativo canonico) che si adatta a qualsiasi tipo di narrazione:

Manipolazione: qualcuno (un Destinante) fa fare qualcosa a qualcun altro (l’eroe);
Competenza: l’eroe acquista le capacità per compiere la missione;
Performanza: l’eroe passa all’azione vera e propria;
Sanzione: chi ha compiuto l’azione è premiato, non premiato o punito.

Inoltre, i vari attanti possono essere mossi da diversi scopi a seconda delle modalità che hanno acquisito:

Dovere: rappresenta la sfera degli obblighi dell’uomo (nei confronti della società, di se stesso, dei suoi cari, della religione…);
Volere: sfera dei desideri;
Sapere: sfera delle conoscenze;
Potere: mezzi materiali (capacità fisiche o strumenti) che permettono di compiere azioni.

Questo schema si può applicare a qualsiasi tipo di situazione. Ed ecco che siamo arrivati alla politica. Ad esempio, in una campagna elettorale avremo le seguenti fasi:

Manipolazione: un Destinante chiama il politico ad agire (può essere l’amore per la patria, il senso di responsabilità, la Democrazia, i cittadini, ecc.);
Competenza: assunzione da parte del politico delle competenze necessarie (poter fare, saper fare, dover fare e voler fare) a svolgere il compito;
Performanza: realizzazione del programma narrativo da parte del politico, è il momento dell’azione, ovvero della campagna elettorale, la quale si trasforma in una prova che i candidati devono affrontare per dimostrare agli elettori la loro competenza;
Sanzione: verifica della riuscita del programma narrativo (responso dei media e degli elettori).

Facciamo un esempio guardando al di là dei confini italiani: Obama. Anche lui (come Cappuccetto Rosso!) nell’ultima elezione presidenziale statunitense ha dovuto superare tre prove:

una prova qualificante: il leader accetta la candidatura alle elezioni presidenziali con il suo acceptance speech durante la Convention democratica;
una prova decisiva: i tre dibattiti tra i due candidati, uno storytelling avvincente con lieto fine composto da tre fasi (dura sconfitta, faticosa rimonta, trionfo finale);
una prova glorificante: la vincita delle elezioni e la sconfitta del suo antagonista (Romney).

Come si è visto, Cappuccetto Rosso e campagne elettorali hanno più elementi in comune di quanto si possa pensare. D’altronde la politica è questione di racconto, ne avevo già parlato qui.

La politica è questione di racconto

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Vladimir Propp è un linguista russo che ha individuato una struttura narrativa costante rintracciabile in ogni fiaba. Ha così dimostrato che ogni storia inizia con la rottura dell’equilibrio iniziale (c’è un problema da risolvere), poi un eroe è chiamato a ristabilire l’ordine e, dopo aver superato varie prove e essersi confrontato con l’anti-eroe (o antagonista), riesce a vincere la propria missione e a concludere la storia con un lieto fine.

Solitamente il protagonista, per arrivare al suo scopo, deve superare tre prove: una prova qualificante, una prova decisiva e infine una prova glorificante. In semiotica, tutto ciò si concretizza in un programma narrativo (PN): una successione di stati e trasformazioni relativi a un soggetto e un oggetto di valore, cioè al suo scopo. Un programma narrativo è ciò che un soggetto vuole fare e si sviluppa sempre in relazione ad un programma inverso, quello dell’anti-soggetto/antagonista.

Come è possibile ricollegare Propp e le fiabe russe alla politica odierna? Molto semplice. I media, ormai pervasivi e ubiqui, non fanno altro che raccontare storie tutti i giorni. Storie mass-mediatiche a cui la politica si conforma alimentandole. In politica qualsiasi evento è sempre il racconto di un soggetto e di un anti-soggetto che gli si oppone. La fiaba mass-mediatica segue sempre uno schema binario, una continua dicotomia che porta l’elettore a schierarsi da una parte piuttosto che unʼaltra e costruisce la scelta tra lʼuno o lʼaltro campo non solo come semplice, ma come logica, inevitabile.

Ma non solo. Nell’epoca della personalizzazione, anche i politici stessi ci raccontano storie quotidianamente. Tramite vicende personali o di vita quotidiana alimentano il loro storytelling per rendere più efficace la comunicazione, per facilitare la memorizzazione di un discorso e per coinvolgere emotivamente chi ascolta. Insomma, per ottenere consensi e per entrare nel cuore degli elettori, è necessario che i politici siano in grado di comunicare la loro storia personale e attraverso questa conquistare la fiducia dei cittadini. Tutti i politici ci raccontano storie, a volte essi stessi diventano delle storie: «you are the story, tu sei un eroe».

Esempi pratici di storie contemporanee? Obama incarna il sogno americano, dell’uomo di colore che proviene da una famiglia di umili origini, il self made man che dopo molti sacrifici ce l’ha fatta. Berlusconi che con la sua discesa in campo nel 1994 ha costruito tutto il suo consenso sulla sua storia personale ed è riuscito a diventare Presidente del Consiglio candidandosi solamente alcune settimane prima del voto senza un passato politico alle spalle che potesse legittimarlo. Nichi Vendola, durante le sue lunghe omelie, ci ricorda la sua storia piena di contraddizioni (omosessuale e cattolico, orecchino e Bibbia). Di Pietro si associa subito all’immagine di Pubblico ministero nell’inchiesta Mani Pulite, Monti al tecnico subentrato per (tentare di) salvare l’Italia dal baratro, Renzi si racconta costantemente sui social network e Grillo porta con sé tutto il suo passato di comico.

Non c’è niente da fare. I leader che non suscitano in noi una risonanza emotiva non ci toccano. Una comunicazione puramente razionale non ci coinvolge, non ci dice nulla.

«La politica è questione di racconto», dice Drew Westen. E noi, come i bambini, sappiamo che il drago non esiste e che la storia è inventata. Ma ci crediamo lo stesso.