Il linguaggio politico di Trump può funzionare?

Donald Trump Gives Speech On Presidential Election In New York

La vittoria di Trump era completamente inaspettata. La mattina del 9 novembre, appena svegliati, abbiamo acceso la tv o il telefono e SBAM!, ci siamo ritrovati davanti quella faccia arancione. Donald Trump nuovo presidente degli Stati Uniti. La meno peggio ha aperto le porte al peggio del peggio. Complimenti America, il mondo ringrazia.

Ci siamo tutti stupiti con Trump, ma ci è accaduto lo stesso con la Brexit nel Regno Unito o, in un principio, con il Movimento 5 Stelle in Italia. Che succede esattamente? I sondaggisti non sanno più fare il loro mestiere? Beh, no, è solo quel fenomeno che si chiama spirale del silenzio.

La spirale del silenzio è quel caso che vede una parte della popolazione percepire la propria opinione come minoritaria e quindi non esprimerla pubblicamente. La spirale del silenzio, scrive Noelle Neumann, indica uno spostamento di opinione nato dal fatto che un gruppo «appare più forte di quanto non sia in realtà, mentre coloro che hanno l’opinione diversa appaiono più deboli di quanto non siano effettivamente. Il risultato è un’illusione ottica o acustica riguardante la situazione effettiva della maggioranza, la bilancia del potere». In pratica, se ci sentiamo minoritari non diciamo mai la verità e, inoltre, si viene a credere ciò che si pensa che gli altri credano.

E i mass media e i social networks? Non c’è dubbio che televisione e Internet contribuiscano ad accelerare questo processo, amplificando alcune opinioni e facendole circolare molto più velocemente di altre, fino a occultarle o a farle apparire irrisorie.

Analizzando la comunicazione di Trump è lecito chiedersi: può funzionare? Sì, e per diversi motivi. Eccone almeno tre:

Dialettica del padre forte: spesso Trump esaspera il caso particolare per imporre la sua (personale e imprecisa) visione del mondo (se ad esempio i media raccontano di un musulmano violento, allora Trump dice che tutti i musulmani sono violenti). In questo modo l’elettorato reagirà alla paura indotta con la ricerca di un uomo determinato e autoritario, un “padre di famiglia” in grado di proteggere tutti i suoi cari e, con essi, tutti i cittadini di un’intera nazione. D’altronde lo ha ripetuto all’infinito: «Defense of country is a family affair».

Utilizzo tattico delle parole: quando può, Trump associa le parole “radicale” e “terrorista” alla parola “islamico” o quando parla di Hillary Clinton la associa alle parole “disonesta” e “corrotta”. In questo modo crea una logica conflittuale in cui l’evento è sempre il racconto di un soggetto e di un anti-soggetto che gli si oppone: tutto si riduce a una contrapposizione elementare “noi” (buoni) VS “loro” (cattivi), una continua dicotomia che porta il lettore a schierarsi da una parte piuttosto che un’altra e costruisce la scelta tra l’uno o l’altro campo non solo come semplice, ma come logica, inevitabile.

Tutti pensano all’elefante (arancione): come consiglia George Lakoff nel saggio Non pensare all’elefante, non bisogna accettare il linguaggio e i frame dell’avversario, sennò si contribuisce a rafforzare il suo punto di vista. «Essere attivi, non reattivi. Giocare all’attacco, non in difesa», dice. «Cercate di modificare i frame, ogni giorno, su tutti i problemi. Non limitatevi a dire quello che pensate. Usate i vostri frame, non i loro, perché corrispondono ai valori in cui credete». Trump è stato in grado di creare un frame per cui i suoi avversari politici utilizzano il suo stesso linguaggio facendo sì che si crei un effetto di doppia attivazione neurale del frame originario sul destinatario: la ripetizione del concetto utilizzando le stesse parole dell’avversario politico rafforzerà le idee dei conservatori, ma anche quelle dei progressisti che si sentono vicini a quel determinato tema.

E allora viene spontanea una domanda: l’uso di meccanismi cerebrali delle persone per scopi di comunicazione è necessariamente immorale? No. Ma solo se i valori vengono messi al primo posto. Il linguaggio politico e le strategie comunicative sono certamente importanti, ma sono sempre supportati dai valori e dai principi che si cerca di veicolare. Ribadiamolo: valori e principi. Non bugie.

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