Siamo tutti Charlie Hebdo con i morti degli altri

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Charlie Hebdo con la sua ultima vignetta dedicata al terremoto che ha colpito il Centro Italia torna a dividere l’opinione pubblica. E se dopo l’attentato alla redazione del giornale tutti si autodichiaravano Charlie (#JesuisCharlie), adesso che si toccano i morti italiani, il web si indigna per quella che viene definita da molti un’offesa alle vittime del sisma. Siamo tutti Charlie Hebdo con i morti degli altri, verrebbe da dire.

La vignetta è stata definita “orrenda”, “disgustosa”, “oscena”, “irritante”, “offensiva” e “di cattivo gusto”. Ma prima di tutto bisogna fare chiarezza su una cosa importantissima, basilare: la satira non prevede il buon gusto. Va contro la morale comune, è esagerazione, paradosso. La satira non deve far ridere per forza. La satira deve far riflettere. Deve sconvolgere. Questa è la sua missione.

La vignetta non attacca i morti schiacciati sotto le macerie, no. La satira non si prende beffa dei più deboli, la satira attacca i poteri forti. In questo caso, la vignetta dal forte impatto emotivo veicola un messaggio profondo: “quelli che vedete sotto le macerie non sono i morti del terremoto, sono i morti dell’Italia stessa, dell’incuria del vostro Paese, della mancata prevenzione sismica e messa in sicurezza degli edifici”. Perché, certo, un terremoto non si può prevedere, ma i suoi danni si possono (anzi, si devono) limitare.

Se poi la vignetta sia realmente riuscita a veicolare i messaggi che aveva l’obiettivo di proporre è un altro discorso. E probabilmente, viste le numerose reazioni negative, non ci è riuscita. Ma la satira è questa, ribadiamolo, sconvolgente, a volte disgustosa e soprattutto non ha la pretesa di arrivare a tutti. La satira o si accetta o non si accetta. E allora invece di indignarsi sui social per Charlie Hebdo è meglio riflettere perché è accaduto questo di nuovo, cosa non ha funzionato, quali meccanismi hanno fallito.

Detto questo, un’ultima riflessione: la libertà di satira è sacrosanta e ci obbliga ogni volta a confrontarci con i modelli di pensiero della nostra società. Solo una società che difende la libertà di espressione è una società libera. Ecco perché dovremmo essere tutti Charlie ancora una volta.